sabato 31 luglio 2010

Radio days


Anni 50

Che nostalgia  la radio, quando era l'unica voce che ci teneva in contatto con il mondo e con la musica!
Rivedendo il film di Woody Allen "Radio days"  sono tornato con la memoria ai tempi della radio ed in particolare alla tragica radiocronaca dell'affondamento dell'Andrea Doria il 26 luglio del 1956 quando avevo nove anni.
In casa avevamo un grande mobile in mogano con radio, giradischi a 78 giri e vano bar incorporato. Ricordo  il rutilante mosaico di specchi che si illuminava all'apertura dello sportello, i bicchierini disposti su dei piccoli ripani laterali in vetro fumé e le bottiglie di Vecchia Romagna, Fernet e Marsala Florio all'uovo per gli ospiti. A fianco c'era il visore della radio con un punto verde luminoso che si accendeva e sul vetro illuminato scorreva verticalmente la barra delle lunghezze d'onda dove erano riportate le principali stazioni del mondo: Buenos Aires, New York, Il Cairo  e perfino Sidney. Girando le manopole  per me ogni volta era una grande emozione sentire il fischio della modulazione e tra i caratteristici rumori di fondo lontani annunciatori parlare lingue sconosciute. Ovviamente il mobile era nel salotto buono mentre noi vivevamo nella grande cucina intorno al tavolo da pranzo e potevamo sentire la radio solo per mezzo di un piccolo altoparlante appeso in alto nell'angolo sopra il camino. Prima di metterci a tavola ero incaricato da mio padre di accendere la radio e ricordo che dovevo mettere le pattine perchè il pavimento della sala era  lucidato con la cera (Grey). A pranzo di solito ascoltavamo il Gazzettino Padano, che si presentava con il trillo dell'usignuolo. Quel giorno la voce inconfodibile dell'annunciatore con il tono grave delle tragedie ci descrisse in diretta l'affondamento del nostro più bel transatlantico: l'Andrea Doria tenendoci in sospeso fino alla fine sulle sorti del comandante Calamai, che voleva affondare con la sua nave e che solo all'ultimo momento fu convinto dai suoi ufficiali a scendere sulle scialuppe di salvataggio, facendo tirare a tutti un sospiro di sollievo. La tensione di quei momenti, la voce del cronista che ci faceva vivere intensamente un dramma che potevamo solo immaginare, la partecipazione intensa di tutto il mondo alla tragedia del mare, sono sensazioni che poi ho raramente percepito. Che differenza con le attuali telecronache di una televisione che tutto spettacolarizza e tutto banalizza, con la mediocrità dei commenti e delle domande dei giornalisti che non sanno far partecipe il pubblico agli eventi perchè loro stessi hanno perso ogni capacità di commuoversi veramente. E' anche vero che alla TV ormai è superfluo  sentire la descrizione di ciò che è già evidente nelle immagini e fastidioso ascoltare dissertazioni su argomenti senza alcuna attinenza diretta con quanto compare sullo schermo. Sono più veri quei servizi senza il commento e senza le inquadrature insistenti del cronista in strada che chiede al primo passante le sue impressioni. Molte telecronache sembrano temini di italiano in prima liceo.
Fino all'assurdo di quella giornalista che per poter dare il senso della drammaticità di un incendio boschivo, si faceva riprendere davanti alle sterpaglie incendiate appositamente per lei dai vigili del fuoco. 
Che figuraccia quando è stata scoperta! Che differenza con la personalità dei grandi giornalisti, che avevano maturato anche se giovani, esperienze di vita, idee e valori che trasmettevano autorevolmente ai propri ascoltatori.

L'Andrea Doria in navigazione

 Andrea Doria la tragedia 


martedì 27 luglio 2010

La mareggiata

Ho sempre amato il mare in tempesta, quando il vento ed i cavalloni scuotono il mare e la vela  deve essere tenuta a forza mentre la barca vola sulle onde sfiorando l'acqua!
1980 Regata ad Alimini...mare forza 7

Meriggiare pallido e assorto...

Osservare tra fronde il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
Da Ossi di Seppia - Eugenio Montale


Che bell' inizio di meriggio sull'impervio e magnifico sentiero tra punta Fragara ed l'Arco naturale a Capri, pur con la sofferenza di Mariella ( .....dove siamo? .....sono stanca .....ancora due gradini e muoio!) che tuttavia resiste ed anzi mi supera leggera su per le scalinate nascoste nel bosco a picco sui faraglioni fino alla sospirata meta: il ristorante da Tonino dove ci cambiamo le magliette bagnate dal sudore e ci mettiamo a tavola.


......amor ch'a nullo amato amar perdona.....

martedì 6 luglio 2010

Le Parche

Mia nonna raccontava a noi bimbi che da qualche parte esiste dalla notte dei tempi un libro dove sono segnate accanto al nome di ciascuno di noi, la data di nascita e quella della morte. Il libro segreto è affidato alla Morte stessa che lo usa per fare il suo lavoro.
Ho ritrovato questa storia alla base del libro di  Glenn Cooper "La biblioteca dei morti."
Il romanzo si apre quando il giovane banchiere David Swisher riceve una cartolina su cui ci sono una bara e la data di quel giorno. Poco dopo, muore. E la stessa cosa succede ad altre cinque persone. Un destino crudele e imprevedibile. Chi è il serial killer? E' il Destino scritto nel Il libro dei morti dove anche il nostro nome è scritto anche se non lo sappiamo. Perché non esiste nulla di casuale. Perché la nostra strada è segnata dall'eternità.
Anche nella mitologia romana, le tre Parche figlie e di Zeus e di Temi, la Giustizia, stabilivano il destino degli uomini. In arte e in poesia erano raffigurate come vecchie tessitrici scorbutiche o come oscure fanciulle.
In seguito furono assimilate alle Moire della mitologia greca e divennero le divinità che presiedono al destino dell'uomo.
Cloto, nome che in greco antico significa "io filo", che appunto filava lo stame della vita; Lachesi, che significa "destino", che lo svolgeva sul fuso e Atropo, che significa "inevitabile", che, con lucide cesoie, lo recideva, inesorabile. Le loro decisioni erano immutabili, neppure gli dei potevano cambiarle.
Esse agivano spesso contro la volontà di Zeus. Ma tutti gli dei erano tenuti all'obbedienza nei loro confronti, in quanto la loro esistenza garantiva l'ordine dell'universo, al quale anche gli dei erano soggetti.
Si dice anche che avessero un solo occhio grazie al quale potevano vedere nel futuro e che spartivano a turno tra loro.
Cosa cambierebbe nelle nostre vite se sapessimo quando dovremo morire?
Credo che dopo un attimo di sconcerto, torneremmo a vivere come ora, come fossimo eterni.
 Vita mutatur, non tollitur!