Osservare tra fronde il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
Da Ossi di Seppia - Eugenio Montale
Che bell' inizio di meriggio sull'impervio e magnifico sentiero tra punta Fragara ed l'Arco naturale a Capri, pur con la sofferenza di Mariella ( .....dove siamo? .....sono stanca .....ancora due gradini e muoio!) che tuttavia resiste ed anzi mi supera leggera su per le scalinate nascoste nel bosco a picco sui faraglioni fino alla sospirata meta: il ristorante da Tonino dove ci cambiamo le magliette bagnate dal sudore e ci mettiamo a tavola.
......amor ch'a nullo amato amar perdona.....
martedì 27 luglio 2010
martedì 6 luglio 2010
Le Parche
Mia nonna raccontava a noi bimbi che da qualche parte esiste dalla notte dei tempi un libro dove sono segnate accanto al nome di ciascuno di noi, la data di nascita e quella della morte. Il libro segreto è affidato alla Morte stessa che lo usa per fare il suo lavoro.
Anche nella mitologia romana, le tre Parche figlie e di Zeus e di Temi, la Giustizia, stabilivano il destino degli uomini. In arte e in poesia erano raffigurate come vecchie tessitrici scorbutiche o come oscure fanciulle.
In seguito furono assimilate alle Moire della mitologia greca e divennero le divinità che presiedono al destino dell'uomo.
Cloto, nome che in greco antico significa "io filo", che appunto filava lo stame della vita; Lachesi, che significa "destino", che lo svolgeva sul fuso e Atropo, che significa "inevitabile", che, con lucide cesoie, lo recideva, inesorabile. Le loro decisioni erano immutabili, neppure gli dei potevano cambiarle.
Esse agivano spesso contro la volontà di Zeus. Ma tutti gli dei erano tenuti all'obbedienza nei loro confronti, in quanto la loro esistenza garantiva l'ordine dell'universo, al quale anche gli dei erano soggetti.
Si dice anche che avessero un solo occhio grazie al quale potevano vedere nel futuro e che spartivano a turno tra loro.
Cosa cambierebbe nelle nostre vite se sapessimo quando dovremo morire?
Credo che dopo un attimo di sconcerto, torneremmo a vivere come ora, come fossimo eterni.
Ho ritrovato questa storia alla base del libro di Glenn Cooper "La biblioteca dei morti."
Il romanzo si apre quando il giovane banchiere David Swisher riceve una cartolina su cui ci sono una bara e la data di quel giorno. Poco dopo, muore. E la stessa cosa succede ad altre cinque persone. Un destino crudele e imprevedibile. Chi è il serial killer? E' il Destino scritto nel Il libro dei morti dove anche il nostro nome è scritto anche se non lo sappiamo. Perché non esiste nulla di casuale. Perché la nostra strada è segnata dall'eternità.Anche nella mitologia romana, le tre Parche figlie e di Zeus e di Temi, la Giustizia, stabilivano il destino degli uomini. In arte e in poesia erano raffigurate come vecchie tessitrici scorbutiche o come oscure fanciulle.
In seguito furono assimilate alle Moire della mitologia greca e divennero le divinità che presiedono al destino dell'uomo.
Cloto, nome che in greco antico significa "io filo", che appunto filava lo stame della vita; Lachesi, che significa "destino", che lo svolgeva sul fuso e Atropo, che significa "inevitabile", che, con lucide cesoie, lo recideva, inesorabile. Le loro decisioni erano immutabili, neppure gli dei potevano cambiarle.
Esse agivano spesso contro la volontà di Zeus. Ma tutti gli dei erano tenuti all'obbedienza nei loro confronti, in quanto la loro esistenza garantiva l'ordine dell'universo, al quale anche gli dei erano soggetti.
Si dice anche che avessero un solo occhio grazie al quale potevano vedere nel futuro e che spartivano a turno tra loro.
Cosa cambierebbe nelle nostre vite se sapessimo quando dovremo morire?
Credo che dopo un attimo di sconcerto, torneremmo a vivere come ora, come fossimo eterni.
Vita mutatur, non tollitur!
lunedì 14 giugno 2010
Pensieri dall'al di là.....
Non avevo idea di quale incredibile mondo avrei fatto esperienza leggendolo.
E' una raccolta di epigrammi di persone vissute nella provincia americana delle grandi pianure nelle piccole cittadine sulle sponde dello Spoon river. Il modello ispiratore è l'Antologia Palatina, raccolta della classicità greca tanto rivelatrice di intimità e di passioni universali.
Spoon River inizia così:
Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley
l'abulico, l'atletico, il buffone, l'ubriacone, il rissoso?
Uno trapassò in una febbre,
uno fu arso nella miniera,
uno fu ucciso in una rissa
uno morì in prigione,
uno cadde da un ponte lavorando per i suoi cari -
tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina.....
Coincidenze della vita: la scomparsa della mamma e di alcuni amici e parenti che se ne sono andati negli ultimi mesi mi ha costretto ad ascoltarne gli epitaffi durante le funzioni funebri ed a frequentare il cimitero del paese, che normalmente visito una sola volta l'anno in occasione del giorno del ricordo a novembre. Dovendo invece occuparmi della tomba di famiglia ci ho passato un po' più di tempo ed ho incontrato molte persone del paese che non vedevo da anni. Amiche d'infanzia, ora nonne che mi hanno raccontato storie dolorose di figli e nipoti, amici rassegnati al passare del tempo, anziani visitatori quotidiani del cimitero con la loro semplice filosofia di vita, ma tutti in fondo sollevati e quasi meravigliati di essere ancora vivi rispetto ai propri cari e ad altri, svaniti con i loro mondi di passioni e debolezze.
Passeggiando nel camposanto, ho rivisto sulle tombe le fotografie di tante persone che nei miei primi vent'anni erano il paese, tante storie di vita, ognuna segnata nella memoria con il carattere, gli episodi, le grandezze e le miserie di paese, microcosmo e specchio di tutto il genere umano.
La pietas verso i trapassati impone di ricordarne solo i lati buoni dimenticando le perfidie e le debolezze che fanno parte della vita di tutti.
A questo proposito mi ha impressionato l'iroso epitaffio che una donna ha fatto scrivere sulla propria tomba: Vi ho solo preceduto!
La lettura dell'antologia di Spoon River è stata una illuminazione poetica dove contrariamente al tout passe, tout casse, ai morti resta attaccata tutta la malinconica unicità e universalità del proprio essere.
.... spesso ridendo, con ragazzi e ragazze
io giocai sulla strada e sulle colline
quando il sole era basso e l'aria fresca,
fermandomi a bastonare il noce
ritto, senza una foglia contro il tramonto in fiamme.
martedì 25 maggio 2010
Gli Alpini e l'Inter
Sono tornati a Bergamo gli Alpini, e per la prima volta dalla mia prima adunata (Cuneo 1971) non ho partecipato alla sfilata. Tanta voglia ma mi hanno bloccato: la prostata di Giovanni, la volatilità di Marco, l'indisposizione di Abramo, l'assenza del Bepi, l'irreperibilità di Alceste, i miei compagni di tutte le altre adunate in giro per l'Italia. Inoltre, in questo anno di trionfo dell'Inter mi è mancato l'annuale appuntamento con l'avvocato Prisco "andato avanti". Era stata una conoscenza casuale una stretta di mano, una battuta sull'Inter passionaccia in comune, ed un saluto al cappello! Grande alpino e grande interista: ci siamo incrociati poi ad ogni adunata e non mancava mai un sorriso ed un saluto.
(eccolo nell'aldilà adirato per non essere presente alla tripletta dell'amata Inter)
sabato 1 maggio 2010
Casta est quam nemo rogavit

Non so a voi, ma a me fin da bambino, un sacco di cose naturali e piacevoli sono state represse come sconvenienti o cattive. All'inizio in modo blando e quasi complice dai genitori, ma poi crescendo dai vari educatori con severità e minacce di inferni eterni, di malattie veneree, di cecità ecc. ecc... a cui tutta la mia generazione ha reagito con il movimento di liberazione sessuale avviata negli anni sessanta. Purtroppo ora vedo segnali di ritorno ad una società confusamente repressiva. La fotografia del gesto innocente e curioso del bimbo oggi configura un reato di molestie con svariati anni di gattabuia. Le donne esaltano la propria bellezza e le proprie forme ma se un uomo indugia ad ammirare un decoltè o delle belle gambe rischia una denuncia. Ormai tutto diventa materia per i giudici con risultati aberranti in nome di principi e leggi invasive del privato. Summa lex, summa iniuria dicevano i Romani (quelli con la R maiuscola) che di diritto se ne intendevano. Sono infatti convinto che , salvo pochi casi patologici o di motivazioni religiose la frase latina "casta est quam nemo rogavit" (E' casta perchè nessuno l'ha voluta) è applicabile all'universo mondo; finiamola quindi di reinventare tabù e peccati ritornando al perbenismo ipocrita d'altri tempi e di affidare alla legge quello che deve essere risolto con il bon ton tra uomini e donne.
giovedì 15 aprile 2010
ISTANBUL
LA CITTA DEL MITO
Da lunedì a venerdì attraversando la capitale di Teodosio e Giustiniano, di Solimano e Ataturk, la grande città europea della Turchia di oggi. Efficiente e pulitissima, con tram, traghetti e servizi urbani da sogno, vivacissima e ordinata. Megalopoli da sempre ed oggi con gli attuali 12 milioni di abitanti eppure così godibile nei suoi diversi quartieri. E' stata una bella scoperta e mi sono riproposto di tornarci, magari in un periodo più propizio, infatti pioggia, freddo e vento ci hanno accompagnato per la maggior parte della visita, che però è stata bellissima lo stesso. Gente, cibo, negozi, monumenti, atmosfere.... magiche. Agya Sofia superiore ad ogni immaginazione, stupefacente!
Museo della scienza e della tecnica antica
Il Topkapi e la moschea blu meravigliosi, peccato che la grande moschea di Suleyman il magnifico fosse in restauro. Il gran Bazar inarrivabile dai nostri moderni centri commerciali ed i quartieri specializzati per mestiere: idraulici, elettricisti, moda, stagnai etc. etc... Dobbiamo tornare ancora ed ancora per godere il piacere di vivere questa città che ci ha conquistato!
Agya Sofia vista dalla moschea blu
giovedì 8 aprile 2010
Così tu non farai mai i soldi !

(.....anche le tre figlie tutte sposate a commercianti)
Mio padre invece era felicissimo per la mia scelta: lui negoziante che andava in vacanza .... quando si ammalava (in media una settimana ogni due/tre anni) e che lavorava di giorno, di notte e di domenica. Voleva che studiassi per potere un giorno avere 'una posizione' con un bello stipendio, che lavorassi senza sporcarmi le mani. Possibilmente solo otto ore per cinque giorni la settimana; con le ferie garantite e le assenze per malattia pagate, senza pensieri di banche e fornitori da pagare e crediti da riscuotere. Credo che la mia visione del lavoro si sia poi basata su due presupposti fondamentali: un impegno di tipo professionale raggiungendo molto presto la dirigenza ed una grande libertà nelle mie scelte di vita, coniugando così le idee di mio nonno con quelle di mio padre. Fondamentalmente aveva ragione il nonno, per poter fare buoni affari occorre avere il tempo di intessere le giuste relazioni, valutare le opportunità e gestire i rischi ; d'altra parte aveva ragione anche mio padre: un buon lavoro da dipendente permette di avere il tempo per dedicarsi alla famiglia, alle proprie passioni e di coltivare tante amicizie e provoca meno stress del lavoro in proprio, tranne nei momenti di crisi dove forse l'ansia di perdere il posto fisso è maggiore di quello dell'imprenditore più abituato a contare sulle proprie forze.
Mio suocero Filippo
Negli ultimi anni, mi sono dovuto dedicare, precettato da mio suocero, anche lui commerciante, al proseguimento delle sue attività imprenditoriali, devo dire con qualche soddisfazione. Ma quanta fatica ed impegno! Oltre ai naturali problemi di acquistare, fare, vendere e incassare, tutta la caotica legislazione civilistica e fiscale, tutta la normativa tecnica, promulgate anche con le migliori intenzioni, ma si sa: di buone intenzioni è lastricato l'inferno! Come mi diceva il nonno: Homo faber ipsius fortunae! solo che oggi quando va bene quello che guadagni metà è tuo e metà del fisco, quando va male la perdita è tutta tua! Devo convenire che per fare affari occorre tempo e dedizione anche se non si timbra tutti i giorni, in pratica si è sempre in servizio!
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