martedì 3 maggio 2022

Ciao Catherine




Catherine Spaak, mi è sempre piaciuta!. Nei personaggi che ha interpretato negli anni sessanta da Dolci Inganni di Lattuada a La voglia matta di Salce e via via con Il Sorpasso, La noia; ma anche  con la commediola estiva di Diciottenni al sole,  e tanti altri film del cinema italiano è stata un modello per la mia generazione. Disinibita, indipendente, allegra, è stata l'icona della nostra giovinezza e il nuovo ideale femminile, una bellezza acerba che si contrapponeva alle imperanti supermaggiorate delle generazioni precedenti.

                                           

 E' stata l'interprete con Françoise Hardy  della versione italiana di Tous le garçons e le filles, la canzone che nella sua semplicità toccava poeticamente i nostri sentimenti di sedicenni alla ricerca dei primi amori.

                                                  

Anche il suo modo di affrontare l'amore è controcorrente:  si innamora di Fabrizio Capucci e resta incinta, lo sposa  e quando si separa da lui è costretta a lasciare la piccola Sabrina alla famiglia del marito perchè secondo il giudice '' facendo l'attrice non dà garanzia di moralità''.  Oggi i valori socialmente condivisi sono completamente ribaltati grazie alla voglia di libertà  della nostra generazione, la prima a voler rompere gli schemi della società autoritaria e repressiva degli anni cinquanta, sotto lo sguardo preoccupato ma complice dei nostri genitori reduci da guerra e dittatura.



Probabilmente l'immersione in una dimensione già europea della cultura francese con  la Nouvelle Vague nel cinema, Jacques Prevert nella poesia, Sartre con l'esistenzialismo e tutti gli altri intellettuali hanno avuto un grande influsso su di noi, così come l'apertura alla letteratura anglosassone e al cinema americano che anche con i suoi film più impegnati  ha aiutato la nostra generazione a elaborare nuovi valori  modernizzando la società italiana. 

                                     

 Catherine ha poi seguito nella varie stagioni della vita la ricerca del proprio equilibrio per arrivare dopo vari matrimoni e legami a dichiarare di sentirsi finalmente bene con sé stessa e serena con la propria vita.

Buon viaggio e grazie Catherine!


 


martedì 5 aprile 2022

La guerra e il progresso

 

foto ANSA


    Ricordo un tema alle superiori che aveva per oggetto la pace come necessità per il progresso della civiltà e che io  avevo svolto al contrario rivendicando alle guerre nei secoli le più grandi accelerazioni della scienza e della tecnica come la scoperta dell'energia atomica con relativa bomba. Ovviamente l'insegnante ha giudicato il mio elaborato 'fuori tema' e non classificabile malgrado la mia convinzione di non essere il solo a sostenere questa tesi.

    All'origine c'è Eraclito, filosofo greco capace di dire bruttissime e sibilline verità. Infatti uno dei suoi aforismi più noti recita: «La guerra è madre di tutte le cose». E' innegabile che, pur senza arrivare alla guerra «sola igiene del Mondo» di Filippo Tommaso Marinetti, molti degli sviluppi tecnologici e sociali che hanno portato al nostro relativamente pacifico presente sono figli del conflitto o almeno del suo superamento. Giusto per fare un esempio: l'idea di tolleranza religiosa, così giustamente cara all'Europa, è figlia della Guerra dei trent'anni (1618-1648). E poi ci sono gli sviluppi tecnologici. È un'ovvietà ma senza le V1 e le V2 che hanno martoriato Londra, prima, e il clima di tensione della Guerra fredda, poi, l'uomo sulla Luna ci sarebbe andato molto più tardi. Come l'utilizzo e lo sviluppo degli anestetici, a partire dalla morfina, e di moltissimi prodotti chimici, è stato direttamente legato allo sforzo bellico. Ian Morris studioso britannico che nel suo nuovo libro : War! What Is It Good For? Conflict and the Progress of Civilization from Primates to Robots  - ha illustrato tutti i benefici dei conflitti sul lungo periodo. Senza falsi buonismi. «La storia dimostra che la guerra non è così male come la sua alternativa, l'anarchia della violenza come stato normale». Partendo da lontano ha evidenziato che, a dispetto delle apparenze, il numero di morti, percentualmente parlando, nelle guerre degli ultimi 10mila anni, è diminuito in maniera impressionante. Nel libro spiega che le guerre del secolo scorso «hanno ucciso da 100 a 200 milioni di persone, un numero orribile, ma i morti corrispondevano all'1% o al 2% della popolazione mondiale. Nell'età della pietra a morire per mano di un altro uomo è stato tra il 10% ed il 20% della popolazione. Nel 1250 un europeo occidentale su 100 era destinato a morire di morte violenta, ai tempi di Shakespeare uno su 300, nel 1950 uno su 3mila». Insomma la guerra contemporanea è sporca e colpisce moltissimo i civili, ma non è un vero freno allo sviluppo, nemmeno demograficamente parlando. Così Morris partendo dal successo dei romani - «durante le loro guerre di espansione hanno ucciso oltre 10 milioni di persone, con altri milioni finiti in schiavitù» - sostiene che un conflitto è molto meglio dell'anarchia o dell'instabilità sociale prolungata. La guerra gli appare «un male necessario e minore, anche se indiscutibilmente terribile, nel processo di civilizzazione. Noi siamo dei killer e l'unica cosa in grado di tenere a freno l'animale feroce dentro di noi è la minaccia di una punizione, ovvero la sconfitta in guerra». Insomma, prende le parti del suo conterraneo Thomas Hobbes, l'inventore dell'immagine del Leviatano contro Rousseau: «Hobbes è andato più vicino alla verità di Jean-Jacques Rousseau, per il quale nel suo stato naturale l'uomo era un essere pacifico e senza brame. La tesi di Hobbes è meno romantica, il realismo può essere ripugnante, ma ci azzecca». Insomma sul lungo periodo della storia umana avrebbe ragione il generale prussiano Carl Von Clausewitz (1780-1831): «La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi». E sin che c'è politica c'è sviluppo e non caos. E va da sé che Morris è uno storico e non un bellicoso sanguinario: la UE gli piace molto proprio perché è stata creata senza violenza. Ma da storico non si sente di negare che la guerra può essere una molla propulsiva potente.

 (Sintesi da Il Giornale.it. - Matteo Sacchi)

Contrariamente al millenario paradigma della guerra come acceleratore del progresso è sempre più evidente che lo spreco di risorse umane e materiali di ogni conflitto è oggi insostenibile per il nostro pianeta e per la sopravvivenza della nostra specie e deve essere sostituito da quello etico orientato all'armonia tra uomo e natura.

Nel mondo attuale anche ogni progresso nella scienza di base è frutto della stretta collaborazione tra le comunità scientifiche di tutti i paesi con  la messa in comune di progetti con grandi investimenti internazionali, come ad esempio il CERN di Ginevra o il progetto del reattore a fusione JET, la stazione spaziale internazionale ecc.

Allo stesso modo i progressi della scienza applicata sono innovazioni normalmente protette da brevetti e sfruttate commercialmente, ma con relativa facilità clonate e diffuse sui mercati globalizzati come ad esempio le tecnologie dei cellulari, delle reti informatiche e molto più virtuosamente i vaccini MRNA anti COVID.

Mio padre, nato nel 1920 e abituato a vedere una guerra scoppiare ogni 20 anni, reduce della seconda guerra mondiale, ci ammoniva a temere e a preparaci per la guerra successiva che avrebbe portato lutti carestie e rovine. Grazie al deterrente nucleare questo non è successo finora ma la guerra di aggressione e della Russia contro l'Ucraina è la dimostrazione della persistenza di logiche di potenza esercitate con la forza militare: evidentemente le distruzioni e le sofferenze delle due guerre mondiali del secolo scorso non hanno insegnato nulla ai governanti. A dispetto dei pacifisti da salotto il detto latino: Si vis pacem para bellum - Se vuoi la pace prepara la guerra è purtroppo ancora validissimo. La conseguenza della corsa alle armi è però il grande rischio che alla fine qualche dittatore pazzo, si convinca ad usarle con i risultati che vediamo.

 



 




domenica 13 marzo 2022

Per essere felici.....

 


Lucius Annaeus Seneca
(Corduba, 4 a.C. – Roma, 19 aprile 65)


Per essere felici bisogna eliminare due cose : 
il timore di un male futuro e il ricordo di un male passato
questo non ci riguarda più, quello non ci riguarda ancora.

„Non mancheranno mai motivi lieti o tristi di preoccupazione; 
la vita si caccerà da una faccenda in un'altra: 
il tempo libero non sarà mai una realtà, sarà sempre un sogno.“

„Di tempo non ne abbiamo poco, ne sprechiamo tanto.
 L'uomo grande non permette che gli si porti via neanche un minuto 
del tempo che gli appartiene.“

„Nessuno ti renderà gli anni, nessuno ti restituirà a te stesso;
 andrà il tempo della vita per la via intrapresa
 e non tornerà indietro né arresterà il suo corso,
non farà rumore, non darà segno della sua velocità 
 scorrerà in silenzio, non si allungherà per editto di Re
 o favore di popolo;
 correrà come è partito dal primo giorno,
 non farà mai fermate, mai soste.
 Che avverrà? 
tu sei affaccendato, la vita si affretta:
 e intanto sarà lì la morte,
 per la quale, tu voglia o no, devi aver tempo.“





domenica 27 febbraio 2022

E come potevamo noi cantare....

   



E come potevano noi cantare

con il piede straniero sopra il cuore,

fra i morti abbandonati nelle piazze

sull’erba dura di ghiaccio, al lamento

d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero

della madre che andava incontro al figlio

crocifisso sul palo del telegrafo?

Alle fronde dei salici, per voto,

anche le nostre cetre erano appese,

oscillavano lievi al triste vento.


                                                “Alle fronde dei salici”       Salvatore Quasimodo


Al partigiano  - Manzù - Bergamo












sabato 26 febbraio 2022

Ci sono cose da non fare MAI....



 Ci sono cose da fare ogni giorno:

lavarsi, studiare, giocare,
preparare la tavola
a mezzogiorno.

Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie per non sentire.

Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno, né di notte,
né per mare, né per terra:
per esempio, la guerra.

Gianni Rodari





Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore
nessuna croce manca

È il mio cuore
il paese più straziato.

Giuseppe Ungaretti (1916)







mercoledì 23 febbraio 2022

Fortuna o disgrazia?

 


                                                REIWA - Ordine e armonia


Il Giappone e la sua cultura millenaria mi hanno sempre incuriosito così come tutte le civiltà orientali così profondamente diverse dalla filosofia dell'occidente. 

Questo piccolo racconto racchiude una visione della vita molto orientale:

In un villaggio viveva un vecchio molto povero, ma perfino i re erano gelosi di lui perché aveva un bellissimo cavallo bianco e gli  offrivano prezzi favolosi per quel cavallo. Ma l’uomo diceva a tutti: “ Questo cavallo non è un animale per me, è come una persona. E  non volle mai vendere quel cavallo.
Un mattino scoprì che il cavallo non era più nella stalla. L’intero villaggio accorse e tutti dissero: “ Vecchio sciocco! Lo sapevamo che un giorno o l’altro ti avrebbero rubato il cavallo. Sarebbe stato molto meglio venderlo. Potevi ottenere il prezzo che volevi. E adesso il cavallo non c’è più, che disgrazia!”
Il vecchio disse: “ Non correte troppo! Dite semplicemente che il cavallo non è più nella stalla. Il fatto è tutto qui: il resto è solo giudizio. Se sia una disgrazia o meno non lo so, chissà cosa succederà in seguito?”
Ma la gente rideva, avevano sempre saputo che era un po’ matto.

Dopo quindici giorni, una notte, all’improvviso il cavallo ritornò.
Non era stato rubato, era semplicemente fuggito, era andato nelle praterie. Ora non solo era ritornato, ma aveva portato con sé una dozzina di cavalli selvaggi.
La gente di nuovo accorse e disse: “ Vecchio, avevi ragione tu! Quella non era una disgrazia. In effetti si è rivelata una fortuna”.
Il vecchio disse: “ Di nuovo state correndo troppo. Dite semplicemente che il cavallo è tornato, portando con sé una dozzina di altri cavalli… chissà se è una fortuna oppure no?
Questa volta la gente non poteva dire nulla, magari il vecchio aveva ragione di nuovo. Non parlavano, ma nell’intimo sapevano bene che il vecchio aveva torto: dodici bellissimi cavalli, bastava domarli e poi si potevano vendere per una bella somma.

Il vecchio aveva un unico figlio, un giovane che iniziò a domare i cavalli selvaggi. E dopo una sola settimana, cadde da cavallo e si ruppe le gambe. Di nuovo la gente accorse, dicendo: “ Hai dimostrato un’altra volta di avere ragione! Non era una fortuna, ma una disgrazia. Il tuo unico figlio ha perso l’uso delle gambe, ed era l’unico sostegno della tua vecchiaia. Ora sei più povero che mai ”.
Il vecchio disse: “ Sempre a dare giudizi, è un’ossessione.  Dite solo che mio figlio si è rotto le gambe. Chissà se è una disgrazia o una fortuna?… non lo sa nessuno. "

Accadde che qualche settimana dopo il paese entrò in guerra, e tutti i giovani del villaggio furono reclutati a forza. Solo il figlio del vecchio fu lasciato a casa perché aveva le gambe rotte. La gente piangeva e si lamentava, da ogni casa tutti i giovani erano stati arruolati a forza, e tutti sapevano che la maggior parte non sarebbe mai più tornata dalla guerra.
Di nuovo, gli abitanti del villaggio andarono dal vecchio e gli dissero: “ Avevi ragione, vecchio: la tua è stata una fortuna. Forse tuo figlio rimarrà uno storpio, ma almeno è ancora con te. I nostri figli se ne sono andati, per sempre. Almeno lui è ancora vivo, a poco a poco ricomincerà a camminare, magari solo zoppicando un po’…”
Il vecchio, di nuovo, disse: “ Continuate sempre a giudicare. Dite solo che i vostri figli sono stati obbligati a partire per la guerra, e mio figlio no. Chi lo sa … se è una fortuna o una disgrazia. Nessuno lo può sapere veramente. Solo Dio lo sa”.


giovedì 10 febbraio 2022

Qoelet ..... E non chiedere nulla

 

Padre David Maria Turoldo


“Qoèlet” / Ecclesiaste” Colui che prende la parola”

,
 “La Provvidenza ha voluto che questo libro rientrasse nel canone sacro ma sempre un lettore si chiede cosa ci stia a fare l'Ecclesiaste nell’Antico Testamento, giustificato solo qualora sia data alla Divina Sapienza licenza piena di farneticare, di essere arcanamente altro” (Erri de Luca)

"Quale utilità ricava da tutto il suo faticare l'uomo nella penosa esistenza sotto il sole?  .... tutte le cose sono in agitazione e nessuno può spiegarlo  .... allo stesso modo moriranno il saggio e lo stolto .... chi bada sempre al vento non seminerà chi guarda sempre le nuvole non mieterà ..... vanitas vanitatum et omnia vanitas....."
 

E non chiedere nulla

Ora invece la terra
si fa sempre più orrenda:

il tempo è malato
i fanciulli non giocano più
le ragazze non hanno
più occhi
che splendono a sera.

E anche gli amori
non si cantano più,
le speranze non hanno più voce,
i morti doppiamente morti
al freddo di queste liturgie:

ognuno torna alla sua casa
sempre più solo.

Tempo è di tornare poveri
per ritrovare il sapore del pane,
per reggere alla luce del sole
per varcare sereni la notte
e cantare la sete della cerva.
E la gente, l'umile gente
abbia ancora chi l'ascolta,
e trovino udienza le preghiere.

E non chiedere nulla

PADRE TUROLDO