martedì 5 aprile 2022

La guerra e il progresso

 

foto ANSA


    Ricordo un tema alle superiori che aveva per oggetto la pace come necessità per il progresso della civiltà e che io  avevo svolto al contrario rivendicando alle guerre nei secoli le più grandi accelerazioni della scienza e della tecnica come la scoperta dell'energia atomica con relativa bomba. Ovviamente l'insegnante ha giudicato il mio elaborato 'fuori tema' e non classificabile malgrado la mia convinzione di non essere il solo a sostenere questa tesi.

    All'origine c'è Eraclito, filosofo greco capace di dire bruttissime e sibilline verità. Infatti uno dei suoi aforismi più noti recita: «La guerra è madre di tutte le cose». E' innegabile che, pur senza arrivare alla guerra «sola igiene del Mondo» di Filippo Tommaso Marinetti, molti degli sviluppi tecnologici e sociali che hanno portato al nostro relativamente pacifico presente sono figli del conflitto o almeno del suo superamento. Giusto per fare un esempio: l'idea di tolleranza religiosa, così giustamente cara all'Europa, è figlia della Guerra dei trent'anni (1618-1648). E poi ci sono gli sviluppi tecnologici. È un'ovvietà ma senza le V1 e le V2 che hanno martoriato Londra, prima, e il clima di tensione della Guerra fredda, poi, l'uomo sulla Luna ci sarebbe andato molto più tardi. Come l'utilizzo e lo sviluppo degli anestetici, a partire dalla morfina, e di moltissimi prodotti chimici, è stato direttamente legato allo sforzo bellico. Ian Morris studioso britannico che nel suo nuovo libro : War! What Is It Good For? Conflict and the Progress of Civilization from Primates to Robots  - ha illustrato tutti i benefici dei conflitti sul lungo periodo. Senza falsi buonismi. «La storia dimostra che la guerra non è così male come la sua alternativa, l'anarchia della violenza come stato normale». Partendo da lontano ha evidenziato che, a dispetto delle apparenze, il numero di morti, percentualmente parlando, nelle guerre degli ultimi 10mila anni, è diminuito in maniera impressionante. Nel libro spiega che le guerre del secolo scorso «hanno ucciso da 100 a 200 milioni di persone, un numero orribile, ma i morti corrispondevano all'1% o al 2% della popolazione mondiale. Nell'età della pietra a morire per mano di un altro uomo è stato tra il 10% ed il 20% della popolazione. Nel 1250 un europeo occidentale su 100 era destinato a morire di morte violenta, ai tempi di Shakespeare uno su 300, nel 1950 uno su 3mila». Insomma la guerra contemporanea è sporca e colpisce moltissimo i civili, ma non è un vero freno allo sviluppo, nemmeno demograficamente parlando. Così Morris partendo dal successo dei romani - «durante le loro guerre di espansione hanno ucciso oltre 10 milioni di persone, con altri milioni finiti in schiavitù» - sostiene che un conflitto è molto meglio dell'anarchia o dell'instabilità sociale prolungata. La guerra gli appare «un male necessario e minore, anche se indiscutibilmente terribile, nel processo di civilizzazione. Noi siamo dei killer e l'unica cosa in grado di tenere a freno l'animale feroce dentro di noi è la minaccia di una punizione, ovvero la sconfitta in guerra». Insomma, prende le parti del suo conterraneo Thomas Hobbes, l'inventore dell'immagine del Leviatano contro Rousseau: «Hobbes è andato più vicino alla verità di Jean-Jacques Rousseau, per il quale nel suo stato naturale l'uomo era un essere pacifico e senza brame. La tesi di Hobbes è meno romantica, il realismo può essere ripugnante, ma ci azzecca». Insomma sul lungo periodo della storia umana avrebbe ragione il generale prussiano Carl Von Clausewitz (1780-1831): «La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi». E sin che c'è politica c'è sviluppo e non caos. E va da sé che Morris è uno storico e non un bellicoso sanguinario: la UE gli piace molto proprio perché è stata creata senza violenza. Ma da storico non si sente di negare che la guerra può essere una molla propulsiva potente.

 (Sintesi da Il Giornale.it. - Matteo Sacchi)

Contrariamente al millenario paradigma della guerra come acceleratore del progresso è sempre più evidente che lo spreco di risorse umane e materiali di ogni conflitto è oggi insostenibile per il nostro pianeta e per la sopravvivenza della nostra specie e deve essere sostituito da quello etico orientato all'armonia tra uomo e natura.

Nel mondo attuale anche ogni progresso nella scienza di base è frutto della stretta collaborazione tra le comunità scientifiche di tutti i paesi con  la messa in comune di progetti con grandi investimenti internazionali, come ad esempio il CERN di Ginevra o il progetto del reattore a fusione JET, la stazione spaziale internazionale ecc.

Allo stesso modo i progressi della scienza applicata sono innovazioni normalmente protette da brevetti e sfruttate commercialmente, ma con relativa facilità clonate e diffuse sui mercati globalizzati come ad esempio le tecnologie dei cellulari, delle reti informatiche e molto più virtuosamente i vaccini MRNA anti COVID.

Mio padre, nato nel 1920 e abituato a vedere una guerra scoppiare ogni 20 anni, reduce della seconda guerra mondiale, ci ammoniva a temere e a preparaci per la guerra successiva che avrebbe portato lutti carestie e rovine. Grazie al deterrente nucleare questo non è successo finora ma la guerra di aggressione e della Russia contro l'Ucraina è la dimostrazione della persistenza di logiche di potenza esercitate con la forza militare: evidentemente le distruzioni e le sofferenze delle due guerre mondiali del secolo scorso non hanno insegnato nulla ai governanti. A dispetto dei pacifisti da salotto il detto latino: Si vis pacem para bellum - Se vuoi la pace prepara la guerra è purtroppo ancora validissimo. La conseguenza della corsa alle armi è però il grande rischio che alla fine qualche dittatore pazzo, si convinca ad usarle con i risultati che vediamo.